venerdì 6 dicembre 2013

KOSHER TEXAS RANGER: CAPITOLO 11

Il rosario pendeva dalla tasca del giovane Santos Alberto do Pereira. A passo lungo e con il suo impermeabile nero nero solcava le strade di Tel Aviv in direzione dello stadio. Dall'altra parte del rosario, intendo, dall'altro estremo del trasmettitore, nel suo appartamento con i piatti da lavare e la sveglia che non suonava e non sarebbe neppure suonata più, stava ben Ghidon. L'auricolare sul suo orecchio mandava ogni segnale che arrivava dalla 45° Ave Maria del rosario modificato.
   Dall'estremo opposto della città su una lunga automobile di fabbricazione tedesca, diremmo una limousine se l'effemminato suono francese del nome non stridesse così tanto con l'omofoba personalità del suo proprietario, il signor G e il suo avvocato sorseggiavano Jegermaister e Stroh rum dietro i vetri oscurati. L'autista andava dritto verso il parcheggio dello stadio. L'avvocato Emmet Mutson aveva il suo ghigno stampato in volto, ghigno che spariva di rado, mentre il signor G aveva la sua tipica espressione oscura.
Le ruote dell'autovettura valchirica roteavano allo stesso modo in cui roteava la moneta da 5 sicli tra le dita di Santos Albero do Pereira. Era un modo per esorcizzare al situazione stressante. Sapeva bene di trovarsi come Ian Solo e compagni nella trita rifiuti della morte nera. Da una parte c'era il signor G e il suo avvocato, le incarnazioni del potere e del male, coloro che avevano fatto di lui e dei suoi amici il braccio armato del turbo estremismo cattolico (e pensare che lui non era neppure cattolico, aveva iniziato per i buffet dopo le riunioni al circolo e poi una cosa, si sa, tira l'altra). Dall'altra parte c'era quello che Giovanni o i fratelli Coen avrebbero chiamato il "solitario cavaliere dell'apocalisse", ma in una versione benigna, la furia della giustizia incarnata nel fisico poco sportivo ma sufficientemente rude di ben Ghidon, alias Kosher Texas Ranger (qui bisogna necessariamente ricordare che Ben non era quella macchina da guerra che conosciamo in virtù di una sistematica e programmatica pratica sportiva, ma ereditava la sua caratteristica forza da una giovinezza che lo aveva visto prima contadino stacanovista in un kibbutz e poi grande esperto di flessioni sulle gambe negli anni dell'accademia). L'unica cosa che dava conforto a Santos era ripensare alla battuta di Harrison Ford: " Una cosa è certa. Diventeremo magrissimi."
   La moneta roteava ancora e roteava ancora quando lo stadio fu in vista. Il parcheggio era vuoto. Dopo un po' vide spuntare all'orizzonte altri membri del fronte popolare. E per ultima vide l'automobile nera del Signor G. "Salite! Uno alla volta!" disse Emmett con la sua voce acuta. Ben fece entrare gli altri camerati. Quando fu il suo turno fu sottoposto alla perquisizione. Aveva non poco timore per l'apparecchiatura tecnologica che portava con sé. Si narrava che una volta il signor G. avesse scoperto un traditore e lo avesse costretto a vivere per il resto dei suoi giorni in una cripta circondato da tv che trasmettevano in continuazione il rosario di Lourdes di TV2000. Non si seppe più nulla di lui. Emmett con l'attenzione del cercacavilli guardava ogni minimo millimetro quadro dell'abito di Santos. Alla fine fu attratto dal rosario: "Allora Alberto? Ti dai alla preghiera? Bravo!" Prese il rosario tra le mani e lo fece sobbalzare un po' di volte sulla mano. Dall'altro capo del rosario, ovvero dall'altra parte del trasmettitore ultrasensibile, i contraccolpi del rosario sulla mano dell'avvocato fecero sobbalzare ben Ghidon che pensò all'inizio si trattasse di esplosioni. Per fortuna il suono sparì e sentì ancora le voci. Era stato un falso allarme. Posò la stellina di Davide ninja a sei punte che aveva istintivamente estratto dalla tasca sul tavolo e continuò ad ascoltare con attenzione.


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